XI. Antropologia

pp. 375-392


Per tutta la vita Freud si pose il problema di come l'uomo fosse giunto ad essere uomo, problema che lo assillò forse più di ogni altro. Il suo interesse per la storia remota dell'umanità e i contributi da lui apportati a questi studi meritano dunque un capitolo a parte.

L'avvenire dell'umanità lo interessò ben poco: solo occasionalmente si lasciò sfuggire qualche riflessione in proposito, e questo suo atteggiamento aveva delle ragioni ben precise. Paventando la complessità della mente umana, trovava difficile fare delle previsioni attendibili. Persino n£l proprio campo di lavoro, dove poteva avere la certezza che certi fattori del passato erano cause importanti se non essenziali di varie manifestazioni psicologiche, nevrotiche o no, del presente, Freud sosteneva che è impossibile, anche conoscendoli quali erano sul momento, predire quali saranno i loro effetti: una variazione imprevista dell'intensità delle forze in gioco, potrebbe produrre effetti diversi. Sotto due aspetti il suo campo di lavoro differiva da quello delle scienze esatte, dove tali previsioni sono generalmente possibili. Uno è che non è possibile isolare i fattori individuali ed escludere quelli sconosciuti, come invece si può spesso fare ad esempio nella fisica sperimentale. L'altro è che non abbiamo ancora un mezzo per fare delle misurazioni quantitative delle forze implicate e non possiamo emettere che delle ipotesi approssimative, di indole ampiamente soggettiva, sulla loro forza relativa.

Freud fu innanzi tutto un scopritore e il suo interesse si volse sempre a problemi che offrissero qualche spiraglio promettente alle indagini. Là dove non se ne vedevano, come ad esempio nei problemi sul futuro, il suo interessamento veniva rapidamente meno : speculare sull'ignoto era uno spreco di tempo e di energie mentali.

Quanto al presente, ciò che avveniva nel mondo intorno a lui lo interessava mediocremente; pensava che non lo riguardasse se non quando veniva a contatto con il suo lavoro. Era quindi su questo suo lavoro che egli si concentrava, come sull'occupazione in cui potesse più utilmente impiegare i suoi talenti.

Siccome tutto ciò che aveva appreso sulla mente umana, l'aveva imparato ripercorrendone lo sviluppo passato, Freud dovette pensare che probabilmente sarebbe stata questa anche in futuro la fonte principale delle nostre conoscenze in proposito. Egli non ammetteva, come Jung ed altri, che esistano nella mente delle tendenze «progressive» di carattere teleologico, che guidano gli uomini in determinate direzioni. Gli uomini sono spinti dalle forze che già si trovano in loro, forze che, originatesi nei primi anni di vita, si compongono di tendenze innate e di influenze esterne. Freud vedeva il dramma dell'esistenza come un eterpo conflitto tra l'impulso a trovare sempre nuove forme di gratificazione degli istinti primordiali, e la costante tendenza a tornare a forme più antiche, anche quando queste si sono dimostrate meno soddisfacenti. L'uomo è cioè continuamente spinto in avanti dal passato e tuttavia respinto verso di esso.

Tutto questo indirizzava perciò necessariamente gli interessi di Freud verso il passato, sia per quanto riguarda l'individuo che l'umanità nel suo complesso. Era l'unico modo possibile di capire qualcosa del presente e possibilmente anche del futuro. Una volta Freud ebbe a dire che solo i popoli inferiori non si interessano al passato. Fin dall'inizio delle sue ricerche psicologiche fu incline ad intessere lo studio dello sviluppo individuale con quello del passato storico. Tra le molte allusioni al rapporto tra i due argomenti, nelle sue lettere a Fliess - dopo un passaggio in cui descrive le difficoltà incontrate nel suo lavoro quotidiano - si legge infatti (1899): «Per distendermi sto leggendo la Storia della civiltà greca di Burckhardt, che mi offre dei parallelismi inattesi. La mia preferenza per tutto ciò che è preistoria, in tutte le sue forme umane, rimane immutata.»

È questo un elemento importante, forse essenziale, dell'interesse di Freud: curiosità intellettuale sul come le cose sono divenute quel che sono. Oltre a questo, però, la pura contemplazione dei tempi antichi gli era fonte di grande godimento (e qui veniamo a contatto con l'elemento fantastico). Oggi sappiamo che un particolare interesse al passato remoto è in genere un  sostituto  al  desiderio  di  tornare  ai  giorni  alcionia  della  propria   infanzia lontana, e se riflettiamo sugli anni felici che Freud trascorse a Frei-berg e i tempi veramente duri che seguirono a Vienna, ci riuscirà comprensibile come questa osservazione fosse valida anche nel caso di Freud. Ho citato precedentemente un passo da una delle sue lettere, in cui egli accosta i due temi: «Sorgono in me delle strane brame segrete - forse una mia eredità ancestrale - per l'Oriente e il Mediterraneo, e per una vita di tutt'altro genere: desideri di una lontana infanzia destinati a non realizzarsi mai.» Conosceva a fondo la letteratura classica e la storia, materie fondamentali ai tempi in cui andava a scuola e nelle quali sappiamo che eccelleva; 50 anni dopo scriverà che quegli scorci del mondo sommerso della cultura antica erano stati per lui «insuperato conforto» nelle tempeste e difficoltà della vita.

Eppure l'atteggiamento di Freud, per quanto assorto, era tutt'altro che contemplativo. Lo affascinava la possibilità di ricostruire con le reliquie del mondo antico qualcosa che lo riportasse alla luce e lo facesse rivivere, se non altro nell'immaginazione. La parola più adatta è «risuscitamento», come lo era nel suo lavoro quotidiano, in cui egli andava continuamente ricostruendo il passato dai relitti che si trovava dinanzi sotto forma di sintomi nei suoi pazienti. Da questo doveva anche avere origine il suo intenso piacere nel costituire la notevole collezione di antichità che mise insieme nel corso della sua lunga vita. Questo hobby, il solo cui indulgesse, risaliva al 1896, quando mal si poteva permettere simili lussi.4 In seguito la sua sala d'aspetto, quella da consultazione e il suo studio si riempirono fino all'inverosimile di bellissimi pezzi, rari e interessanti. Prevalevano pezzi egizi, etruschi, greci e romani, ma ce n'erano anche altri di provenienza più lontana. Vasi, statuette e coppe iridescenti frammiste a lucerne romane riempivano grandi vetrine. Sul suo scrittoio si ammucchiavano le statuette preferite ed altri oggetti, che danno un aspetto insolito al celebre schizzo di Max Pollak, nel quale Freud appare appunto seduto al suo tavolo. Ai lati della porta che divideva lo studio dalla sala da consultazione, v'erano dei bassorilievi egiziani in pietra; di fronte a lui, quando sedeva a fianco del lettino da analisi, erano collocati due oggetti particolarmente belli: una testa in bronzo di Buddha e una coppa cinese che aveva acquistato durante il viaggio in America nel 1909. Sopra il lettino era appeso uno schizzo del gran tempio di Abu Simbel, e di fianco una copia in gesso del bassorilievo marmoreo della famosa Gradiva.

Fa piacere sapere che questa collezione è ora conservata con ogni cura a Londra, proprio nella camera dove Freud morì: le sue amate antichità avran forse contribuito a consolarlo negli ultimi momenti. Freud attribuiva un particolare valore a quei pezzi della collezione che erano rimasti intatti: creature vissute per secoli o restituite dai morti senza che la loro integrità avesse subito offesa.

Suzanne Bernfeld, in un saggio sull'interesse di Freud per l'archeologia, sostiene che ciò che io ho chiamato «risuscitamento» andrebbe chiamato più appropriatamente «resurrezione», volendo con questo affermare che tale interesse era derivato a Freud dai primi insegnamenti in proposito ricevuti dalla balia cattolica; e a sostegno di questa ipotesi l'autrice menziona il ruolo della Pasqua nella vita di Freud. Anche supponendo che la balia minacciasse il bambino di appena due anni di «bruciare nell'inferno» se fosse stato cattivo, mi sembra una base molto fragile per un'interpretazione così ardita quale pensieri sulla morte e la vita futura, nella cui esistenza, tra l'altro, Freud non credette mai. Può essere vero, invece, che l'interesse alla conservazione di un passato prezioso gli servisse a lenire inconsci timori di distruzione. Tutto considerato, è probabile che il vivo interesse per il passato derivasse in Freud da varie fonti profonde della sua personalità. Com'è noto, gli hobby di un uomo rappresentano spesso l'indizio per giungere ad elementi importanti del suo carattere.

In Freud l'interesse per il passato superava persino il piacere di collezionare antichità. Con il pensiero e l'immaginazione riandava continuamente alla vita reale del passato o alla natura degli uomini vissuti centinaia di migliaia di anni fa; e questo suo interesse non si scostava tanto quanto sembrerebbe dalla sua vita quotidiana, poiché anche questa consisteva in un costante processo di risuscitamento, in un portare alla luce ricordi sommersi e impulsi del passato che avevano in qualche modo conservato la loro forma e anche la loro vita, malgrado la loro scomparsa apparentemente definitiva da ogni orizzonte. L'analogia era così stretta che lo stesso Freud non poteva fare a meno di commentarla, talvolta apertamente, talaltra indirettamente.

Un primo esempio di questa similitudine archeologica ricorre nell'introduzione alla ben nota analisi di Dora, scritta nel gennaio 1901: «Di fronte all'incompletezza dei miei risultati analitici0 non avevo altra scelta che seguire l'esempio di quegli scopritori che hanno la fortuna di portare alla luce del giorno, dopo una lunga sepoltura, le inestimabili se pur mutile reliquie dell'antichità. Ho rimesso a posto ciò che manca, prendendo a modello ciò che di meglio ho appreso da altre analisi; ma, da archeologo coscienzioso, non ho trascurato di segnalare in ciascun caso dove finiscono le parti autentiche e dove cominciano le mie ricostruzioni.» Successivamente, nella descrizione del caso, troviamo un esempio ancor più lampante di quale stretta associazione esistesse nella mente di Freud tra mitologia e psicopatologia. «Mentre viveva dai K., Dora era solita spartire la camera da Ietto con la signora K., e il marito veniva sistemato altrove Essa era stata confidente e consigliera della moglie in tutte le difficoltà della vita coniugale di quest'ultima; non v'era nulla di cui non avessero parlato. Medea era stata ben contenta che Creusa stringesse amicizia con i suoi figli.»

Non bisogna dimenticare che già prima, nello scoprire in se stesso il desiderio di uccidere suo padre e sposare sua madre, Freud aveva sùbito pensato di capire finalmente il profondo effetto esercitato nell'antica Grecia e sulle generazioni successive dalla leggenda di Edipo.

Nella discussione dei ricordi infantili coscienti aggiunta alla seconda edizione della Psicopatologia della vita quotidiana (1907), Freud fa notare che si tratta per la maggior parte di veri «ricordi-schermo», e che sotto questo aspetto rivelano «una notevole analogia con i ricordi d'infanzia delle nazioni, espressi nelle loro saghe e miti». Due anni dopo, nel capitolo che scrisse per Il mito della nascita dell'eroe di Rank, Freud si esprime con maggiore scioltezza: «Sono proprio questi ricordi coscientemente evocati dagli anni dell'infanzia, che ci forniscono la chiave per comprendere i miti.» Espone poi più ampiamente il tema l'anno successivo, nello studio su Leonardo, e di nuovo nel saggio su «Scientia» Il diritto della psicoanalisi all'interesse scientifico (1913).

Nel corso delle analisi, poi, Freud soleva trarre vari parallelismi dalla mitologia per illustrare l'argomento momentaneamente in discussione. Un'idea che si prestava particolarmente bene a una simile linea di pensiero era il paragone tra il destino del materiale psichico esposto all'usura della vita quotidiana nella coscienza e la sua conservazione intatta e immutata nell'inconscio. Nel riferire di un'altra analisi, nel 1909, scriveva: «Ho fatto alcune brevi osservazioni sulla differenza psicologica tra conscio e inconscio, e sul fatto che tutto ciò che è cosciente è sottoposto a un processo di usura, mentre tutto ciò che è inconscio è relativamente immutabile; e ho illustrato le mie osservazioni additando gli oggetti antichi che si trovano nel mio studio. Essi infatti, dicevo, sono oggetti trovati in una tomba, ed è proprio la loro sepoltura che li ha preservati: la distruzione di Pompei comincia proprio ora che hanno iniziato a riportarla alla luce.»

Riferimenti all'antichità sono sparsi in tutti gli scritti di Freud, tanto viva e immediata era la conoscenza ch'egli ne aveva. Se ne serviva nell'indagine dei problemi analitici, soprattutto del materiale letterario: ne è un esempio eloquente il suo studio sul tema dei tre scrigni nel Mercante di Venezia. Freud penetrava il significato profondo di miti, leggende e favole; paragonava i miti a «sogni secolari», cioè a sogni ad occhi aperti che occupano l'immaginazione dei popoli per intere generazioni. Gli stessi meccanismi che aveva messo in luce nella vita onirica dell'individuo -condensazione, spostamento, simbolismo, ecc. - operano anche in questi sogni secolari, cosicché abbiamo a disposizione dei metodi tecnici per accertarne il significato originario altrimenti mascherato. Successivamente Abraham, Rank, Riklin e molti altri si sono abbondantemente serviti dei metodi di Freud per studiare questi  prodotti dell'immaginazione umana.

In passato i miti e i riti venivano interpretati come procedimenti mentali dal significato recondito, che si credeva costituissero la principale preoccupazione dell'uomo primitivo. Si è supposto talora che un crescente interesse per la forma delle nuvole, per i pleniluni, per il movimento del sole ed anche per gli esercizi puramente linguistici occupasse inizialmente i pensieri dell'uomo primitivo, escludendone quasi interessi più concreti. Data la natura del suo lavoro, le vedute di Freud erano di carattere umanistico, ed egli interpretava i miti cosmici e tutti gli altri miti come proiezioni, spesso in veste mascherata, di motivi vicini al cuore dell'uomo. Per esempio, interpretava le strane storie sui rapporti tra Urano, Cronos e Giove non come espressioni del timore che il sole venisse inghiottito, ma come una rappresentazione degli inevitabili conflitti tra le successive generazioni Il fatto che Giove castrasse il padre non poteva stupire colui che aveva scoperto questo stesso desiderio in ogni paziente maschio. Freud poneva o riponeva al centro degli interessi umani, in ogni età, i temi della nascita, dell'amore e della morte: umanizzava, cioè, la mitologia.

Al di là della mitologia s'incontra il problema più vasto della religione, che prenderemo in considerazione separatamente. Dal campo dell'archeologia e della mitologia possiamo passare a quello dell'antropologia sociale, nel quale potremo reperire molti punti di contatto tra le scoperte degli psicoanalisti e quelle degli antropologi.

Freud dovette rimanere soddisfatto, se non stupito, quando giunse a riconoscere che la maggior parte dei modi di pensiero stranamente arcaici che riscontrava nell'analisi dei pazienti, trovavano uno stretto parallelo nelle credenze e nelle usanze dei selvaggi. Sembra che questa intuizione gli sia occorsa relativamente tardi negli anni, e che anche allora - come accadeva spesso con Freud - essa si sia fatta strada lentamente.

La prima allusione ai selvaggi pare si trovi in un fugace passo dei Tre contributi alla teoria della sessualità (1905), nel quale Freud fa un suggestivo riferimento (la cui validità appare però incerta) ai selvaggi, che considera «i figli infelici attuali», volendo dire con questo che essi sono meno influenzati di noi dai ricordi personali.

Ma è solo nei saggi pubblicati separatamente negli anni 1912-1913 e poi di nuovo nel celebre libro Totem e tabùis che Freud si occupa per la prima volta estesamente delle usanze e delle credenze di selvaggi. Tema dominante è lo stretto parallelismo tra determinati processi psichici da lui rivelati nell'inconscio sia dei nevrotici che dei bambini, e quelli messi in luce dall'antropologia sperimentale.

Qualsiasi tentativo di comparare i bambini ai selvaggi va fatto naturalmente solo con grande circospezione. Sarebbe più esatto dire che dei due tipi di funzionamento mentale - che possiamo momentaneamente chiamare razionale e irrazionale - quello più primitivo si riscontra in misura maggiore tra i bambini che non tra gli adulti, e lo stesso sembra valido nel confronto tra selvaggi e popoli civilizzati. Successivamente in entrambi i casi il modo di pensare più primitivo viene in parte superato.

Nel primo capitolo, sull'«orrore dell'incesto», si giunge direttamente al nucleo della questione. Per gli antropologi è stato alquanto difficile scoprire una traccia da seguire nella giungla ingarbugliata delle credenze dei selvaggi, con la sua scoraggiante complessità e le sue ramificazioni. Gli antropologi sono in genere concordi sul fatto che un solo tema, in esse, è pressoché universale: il timore dell'incesto, e di conseguenza le drastiche misure volte ad evitarlo. Queste precauzioni o proibizioni sono straordinariamente complesse e non si applicano solo all'incesto vero e proprio ma anche ai rapporti e alle situazioni ad esso anche lontanamente associati. E come se la sottostante paura fosse così forte da doversi evitare anche tutto ciò che possa solo richiamarvi il pensiero. Questa estensione delle proibizioni ha evidentemente lo stesso carattere delle radiazioni nelle fobie - tanto familiari agli psicologi -, dal punto focale originario del pericolo a circoli sempre più ampi d'associazioni, carattere che gli antropologi non hanno sempre individuato.

Il primo commento di Freud sull'orrore dell'incesto compare in una lettera a Fliess (31 maggio 1897), in cui attribuisce tale orrore agli effetti antisociali dell'incesto che, restringendo troppo i legami familiari, separa la famiglia dalla comunità. Cinque mesi dopo (15 ottobre) Freud ne aveva già trovato la vera spiegazione, cioè nei desideri infantili rimossi.

Freud era ora pienamente d'accordo con Frazer che queste leggi rigorose vengono create solo per i crimini verso i quali la tentazione è più forte, e gli fu facile correlare i desideri incestuosi rimossi, e quindi apparentemente inesistenti, dei selvaggi, con l'identica situazione che si verifica nei nostri figli, stabilendo così un immediato rapporto vitale tra i dati psicoanalitici e quelli antropologici.

Non v'è dubbio che in questo Freud battesse una via sicura ed abbia apportato un importante contributo all'antropologia, chiarendo e rendendo intelliggibile uno dei suoi problemi più importanti. Andò anche oltre, in. una direzione che era però più difficile convalidare con i dati antropologici. Le sue ricerche cliniche gli avevano mostrato che il timore dell'incesto e la necessità di prendere contro di esso delle complesse precauzioni, erano inseparabilmente connessi al capofamiglia maschio: generalmente al padre; nelle società matriarcali, invece, allo zio, che ne assume il ruolo. Come contropartita attiva dei desideri incestuosi proibiti insorge l'ostilità verso il padre con il corrispondente desiderio di ucciderlo o di castrarlo, e sono queste le due componenti del complesso di Edipo. Secondo Freud il culto totemico che così spesso s'accompagna alla pratica dell'esogamia è un esempio di questo stesso tabù, e il totem rappresenta il padre, 0 avo, da onorare e non offendere. Freud spiega poi le feste totemiche, in cui questa regola viene periodicamente infranta da un'orgia, come un momentaneo «ritorno del rimosso», cioè l'eruzione, in particolari specifiche condizioni sociali, degli impulsi ostili originari contro il totem, cioè contro il padre. Non è quindi difficile postulare nell'uomo primitivo il cannibalismo e l'uccisione dei vecchi, fatti che si possono osservare ancora oggigiorno tra i selvaggi.

McClellan, che ha descritto per primo nel 1865 la religione primitiva conosciuta come totemismo, riteneva che il culto dei totem e i tabù corrispondenti  fosse strettamente connesso all'esogamia, cioè alla pratica che proibisce i rapporti sessuali tra i membri della stessa tribù, ossia tra coloro che possiedono lo stesso totem. Tale associazione è senza dubbio frequente, sebbene gli autori successivi ne abbiano messo in dubbio l'universalità. Freud accetta l'opinione più generale, riuscendo però a dare una spiegazione unitaria valida per entrambi i gruppi. Le due leggi fondamentali della religione totemica rappresentano semplicemente la rimozione del complesso di Edipo, cioè dei corrispondenti impulsi all'incesto e al parricidio. Seppe dimostrare tra l'altro che la proibizione dell'incesto tra figlio e madre è più rigorosa di quella tra padre e figlia, fatto tuttora valido, e che le misure prese ad evitare il primo sono forse più antiche di quelle riservate al secondo.

Freud passa poi all'esame del vasto problema dei tabù in generale, che presenta innumerevoli ramificazioni; abbiamo già fornito un riassunto di questo lavoro.-1 La conclusione principale che da esso emerge è che i popoli primitivi sono più intensamente portati alle emozioni ambivalenti che non i popoli civilizzati, i quali ultimi sembrano invece più progrediti nel tentativo di riconciliare il conflitto tra gli impulsi di odio e di amore. In questo essi assomigliano ai nevrotici, sebbene in questo caso la rimozione, cioè il tabù, interessi più gli impulsi sessuali che non quelli ostili e antisociali.

Segue lo studio dell'animismo e della magia, nei quali Freud rintraccia vari stadi di sviluppo. La caratteristica principale è in questo caso la onnipotenza del pensiero, fenomeno che Freud aveva già riscontrato nei nevrotici ossessivi e che solo in seguito riconobbe come una caratteristica universale dell'inconscio. La credenza che i propri desideri abbiano il potere di influire sulla realtà è tuttora abbastanza in vigore, ed è su di essa che si fondano tutte le nostre pratiche superstiziose: è generalmente nota con il nome di «adempimento dei desideri».

fi stato più volte ripetuto che Freud definì il suo libro Totem e tabù un «racconto cosi-così». In realtà ammise di aver ripreso questa spiritosaggine da un antropologo inglese, pur attribuendone l'origine all'antropologo americano Kroeber (che per errore di stampa divenne Kroeger): in realtà essa appartiene invece a R. R. Marett.

Cinque anni dopo Totem e tabù Freud torna al campo dell'antropologia con un saggio intitolato Il tabù della verginità. Lo aveva colpito lo strano contrasto tra l'abituale atteggiamento degli uomini civili, i quali apprezzano la verginità della sposa come se questa avesse sempre appartenuto a loro e a nessun altro, e l'uso invece vigente nelle tribù primitive, che vuole che lo sposo eviti accuratamente di eseguire l'atto della deflorazione. Nelle tribù primitive questo compito o privilegio è riservato ad un altro: un residuo di questa usanza può riscontrarsi in quella nostra attuale per cui il compare ha diritto al primo bacio della sposa ancora prima dello sposo. Freud trova la risposta a questo paradosso nello studio dei nevrotici, le cui reazioni emotive gli sono più accessìbili. Di questo suo saggio abbiamo già parlato in precedenza:2'1 esso può comunque considerarsi un contributo sia alla sociologia che all'antropologia.

E impossibile esaminare in questa sede nei loro particolari tutte le ipotesi emesse da Freud nel campo dell'antropologia sociale; è però inconfutabile che il suo studio dell'inconscio rimane di immenso valore per la comprensione di innumerevoli usanze, credenze e riti dei popoli primitivi, soprattutto di quelli che colpiscono una mentalità civile per la loro apparente irrazionalità.

Nella sua indagine dell'inconscio, soprattutto di quello infantile, Freud dovette rimanere colpito fin dall'inizio dalla sua natura arcaica e primitiva. Non fu però che a metà del suo secondo periodo, nel 1913, che egli colse la suggestiva correlazione tra inconscio e mentalità dell'uomo primitivo. Egli si limitò ad indicare i molti parallelismi tra le fantasie da lui scoperte e quelle contenute nelle credenze popolari e nei miti greci, non risalendo dunque il passato che di poche migliaia d'anni. L'uomo primitivo doveva attendere ulteriori meditazioni.

Vi fu un'unica eccezione a quanto ho appena affermato: fin dal 1897, da quando cioè cominciò a impratichirsi del significato dell'erotismo anale, Freud comunicò a Fliess, per lettera, una sua ipotesi che sarebbe poi spesso riaffiorata nei suoi scritti, e cioè che per l'uomo primitivo l'acquisizione della stazione eretta dev'esser risultata fatale per certi aspetti del suo successivo sviluppo. Richiama l'attenzione di Fliess su due punti: uno è l'alterazione del senso dell'olfatto: «Adottata la stazione eretta, il naso si sollevò da terra e contemporaneamente divennero repellenti una quantità di sensazioni legate al suolo, prima di una certa importanza, per un processo che ancora ignoro.» L'altro punto è che questo stesso avvenimento dette inizio ad un mutamento del temperamento, divenuto poi ereditario, che Freud chiama «rimozione organica» e che, secondo lui, sta alla base di molti altri fatti.

In una successiva amplificazione questa idea spiegherebbe in buona parte le nevrosi. Quando nel 1909 discusse il caso dell'«uomo dei topi», Freud si chiedeva «se l'atrofia dell'olfatto (risultato inevitabile dell'assunzione della stazione eretta da parte dell'uomo) e la conseguente rimozione organica del piacere del fiuto non possono aver avuto un peso considerevole sull'origine della suscettibilità dell'uomo alle malattie nervose. Questo ci fornirebbe una spiegazione del perché, con il progredire della civiltà, è proprio la vita sessuale a sottostare a repressione. Conosciamo da un pezzo l'intimo rapporto tra istinto sessuale e funzione dell'organo olfattivo nell'organizzazione animale». Freud tratta poi dell'atrofia dell'organo olfattivo e della sua portata nella genesi delle nevrosi, ed accenna a tale eventualità nella vita sessuale in generale.

Tre anni dopo, nei Contributi alla psicologia dell'amore, Freud estende quest'ultima ipotesi dell'incompatibilità tra impulsi coprofili e senso estetico seguita al distacco da terra dell'organo dell'olfatto, e lascia intrav-vedere la possibilità che conflitti di natura simile mettano infine a repentaglio la continuità del genere umano. E davvero si potrebbe giungere a questo, grazie alla disgraziata conquista della posizione eretta da parte dell'uomo.

L'ultima dichiarazione di Freud in proposito, che risale al 1930, è sotto molti aspetti anche la più enfatica. L'assunzione della stazione eretta ha portato non solo alla rinuncia relativa del piacere del fiuto, ma ha reso più vistosi e vulnerabili gli organi genitali : donde la nascita del senso di vergogna: «Ecco dunque che la stazione eretta ha segnato per l'uomo l'inizio del suo fatale sviluppo culturale.»'10 £ stata la conseguente impossibilità di ottenere una piena soddisfazione sessuale che ha costretto l'uomo a cercare alla propria libido sfoghi di natura diversa da quella sessuale, portandolo così a tutti quegli sviluppi culturali che si riassumono nel termine «sublimazione».

Freud è senza dubbio nel giusto quando richiama l'attenzione sul profondo influsso che ha esercitato sulla nostra vita psichica la disgraziata vicinanza degli organi escretori a quelli genitali, essendo divenuto quasi impossibile dissociare l'idea del sesso da quella di sporcizia. Molto più difficile è dare un fondamento alle sue idee circa l'associazione tra assunzione della stazione eretta e senso dell'olfatto. Oggigiorno non si ritiene più che l'uomo abbia avuto un predecessore arboricolo il quale sia improvvisamente sceso al suolo, come si pensava un tempo:  i preominidi, cioè il Plesiantropo, il Pitecantropo e il Sinantropo, erano più probabilmente creature goffe ma erette. Non è neppure l'unico dei primati ad assumere una posizione eretta; il gorilla, ad esempio, la assume con la massima disinvoltura. In altre parole, sembra che gli antenati dell'uomo abbiano assunto tale posizione in tempi remoti della loro storia, molti milioni di anni fa, assai prima che vi potesse essere traccia di sviluppo culturale.

Non v'è poi alcuna prova che in quel lungo periodo si sia verificato un deterioramento dell'olfatto. E difficile che esso abbia avuto per gli antenati dell'uomo l'importanza che indubbiamente riveste invece per gli animali predatori come i lupi, e per gli ungulati, preda di questi. E anche se questo senso si è deteriorato, non appare tanto ovvio perché questo evento dovesse tradursi in una repulsione, cioè il piacere tramutarsi in disgusto. L'evoluzione storica del disgusto è alquanto oscura: esistono però molte prove attuali che lasciano pensare che non si tratti di un atteggiamento molto antico. Si potrebbero addurre come esempi in proposito alcuni fatti: che alcuni popoli primitivi costruiscono le latrine proprio in prossimità degli accampamenti; nonché l'indifferenza con cui anche gli uomini civili sopportano talvolta condizioni di grande sporcizia. Il modo di reagire agli odori spiacevoli ha subito cambiamenti notevoli in epoche anche recenti, ad esempio nel secolo XIX, cosicché è più verosimile che la repulsione di natura estetica si sia sviluppata nei limiti della civiltà, nelle ultime migliaia d'anni. Potrebbe quindi risultare che le brillanti ipotesi di Freud sull'importanza della stazione eretta non siano molto fondate.

Negli ultimi anni Freud pubblicò un altro ardito studio sulla storia dell'umanità primitiva, a proposito dell'importante problema della conquista del fuoco. Vi aveva accennato per la prima volta in una nota ne Il disagio nella civiltà (1930), poi vi dedicò un lavoro a parte. La sua ipotesi si basa sull'assunto, generalmente accettato, che l'uomo si servì inizialmente del fuoco per gli usi domestici sottraendo un tizzo a un incendio spontaneo, assai prima di acquisire l'arte di accenderlo da sé: esistono dei selvaggi che vivono tuttora a questo stadio di conoscenza imperfetta. Freud avanza l'ipotesi che il primo impulso dell'uomo sia stato quello di orinare sul fuoco nel quale s'imbatteva, e che questo simboleggiasse un atto omosessuale, essendo le lingue di fiamma un ben noto simbolo fallico: non accenna invece al fatto che tale atto potesse rappresentare anche un conflitto a morte tra due maschi. Solo quando ebbe rinunciato a questo piacere istintivo, l'uomo ottenne in ricompensa il controllo del materiale incandescente. Nel lavoro in questione Freud espone più a fondo questa straordinaria idea con argomenti che richiedono, per essere interamente capiti, una mentalità abituata al ragionamento analitico: esso si basa in gran parte su un'affascinante analisi del mito di Prometeo. Scritto a 76 anni, questo breve e brillante studio rivela ancora in tutto il suo vigore la potenza immaginativa di Freud: si rimane colpiti dalla sua capacità di ricordare dati classici tra i meno noti.

Come abbiamo già detto, fu negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale che Freud cominciò ad interessarsi seriamente al tema dell'uomo primitivo e a chiedersi se le sue scoperte sugli strati profondi della psiche non potevano fornire una chiave per il sondaggio degli stadi primordiali dello sviluppo dell'uomo.

Nel 1911 Freud lesse Il ramo d'oro e altri lavori di Frazer, e fu in questa occasione che volse il proprio interesse all'argomento della preistoria. Nel 1911, nel trarre le conclusioni dell'analisi di Schreber, Freud faceva queste ifnportantissirne osservazioni: «Sono del parere che presto matureranno per noi i tempi di estendere un principio la cui verità è da tempo accettata dagli psicoanalisti, e di completare quella che è stata finora un'applicazione individuale e ontogenetica, aggiungendovi la contropartita antropologica e filogenetica. Il nostro principio diceva: "Nei sogni e nelle nevrosi ci imbattiamo una volta di più nel bambino e nei tratti che caratterizzano le modalità del suo ragionamento e della sua vita emotiva". "E ci imbattiamo anche nel selvaggio - ecco come possiamo completare la nostra proposizione - nonché nell'uomo primitivo, quale ci è rivelato alla luce delle ricerche archeologiche ed etnologiche."»

Due anni dopo, nella esposizione generale della sua tesi su «Scientia»,3n Freud si pronuncia in modo altrettanto definitivo: «Negli ultimi anni l'indagine psicoanalitica ha constatato che la frase "l'ontogenesi ricapitola la filogenesi" deve applicarsi anche alla vita psichica.» Questa frase di Haeckel, anche se non più nel suo rigore originario, conserva gran parte della propria validità. Freud giunge ad affermare che nello studio della storia della società primitiva «il ragionamento psicoanalitico agisce come un nuovo strumento di ricerca», e porta ad esempio la credenza primordiale nell'onnipotenza.

Tutto questo solleva inevitabilmente il difficile problema dell'ereditarietà, che Freud affronta inizialmente con cautela. Nelle Lezioni introduttive (1917) paragona gli stadi di sviluppo della libido nel bambino a quelli negli animali inferiori, e osserva che il primo ha dovuto acquisire di bel nuovo le proprie attività; aggiunge però che le condizioni in cui essi sorgono negli animali inferiori hanno operato in modo creativo, mentre nel bambino hanno una funzione puramente evocativa e non richiedono perciò che la presenza di una particolare predisposizione. Ben presto Freud chiarisce questo concetto adducendo come esempio di ereditarietà il complesso di Edipo che comporta la paura di essere castrato o divorato dal padre, nonché la rimozione del complesso medesimo. Nella sua terminologia successiva questo concetto è applicato anche, in parte, allo stesso super-Io.,,J Infine Freud si dichiara del parere che si possono ereditare non solo le predisposizioni specifiche, ma anche determinati contenuti psichici: tracce di ricordi di avvenimenti preistorici e anche particolari simboli.

Come abbiamo già detto più d'una volta nel presente volume, Freud concepiva questa trasmissione ereditaria in termini nettamente lamarckiani, come eredità di forti impressioni subite dall'individuo.

Nel libro Totem e tabù Freud aveva proposto come spiegazione del culto totemico e dell'esogamia la rimozione del complesso di Edipo; ad essa faceva risalire anche l'inizio della vita comunitaria dell'uomo primitivo, con tutte le sue fatali conseguenze. Tale ipotesi lo condusse a meditare sulla origine di questa importantissima rimozione. Nel considerare i possibili eventi di cinquanta o centomila anni fa, si possono sostituire alla mancanza di dati storici solo speculazioni più o meno plausibili. Freud non aveva altro aiuto che l'analogia dello sviluppo infantile, che aveva una volta stigmatizzato affermando che nei pochi anni dell'infanzia il bambino deve evolvere dall'età della pietra alla civiltà moderna.41 Rifacendosi alle vedute di quei biologi i quali ammettono la lotta per le femmine tra i vecchi maschi che le possiedono e quelli giovani che stanno crescendo, Freud rintraccia un quadro di queste lotte nell'uccisione del «vecchio dell'orda» successivamente mangiato dai figli. La difficoltà di una successiva convivenza senza qualche rinuncia conduce al rimorso, alla repressioni e alle inibizioni, reazioni incorporate poi sotto forma di coscienza ed ereditate dalle successive generazioni. Freud ritiene che tutti questi avvenimenti si siano ripetuti infinite volte per migliaia di anni di seguito, ma il disgustoso quadro che ne risulta è così vivido che molti antropologi hanno accusato Freud di riallacciare l'intera genesi della cultura a un unico evento: grossolana equivocazione da parte loro. Freud, è vero, parla di impressioni incise a fuoco nel cervello degli individui coinvolti, e poi trasmesse ai discendenti secondo un procedimento lamarckiano, affermazione che si presta a una facile critica. Ma non v'è ragione di ritenere che non si possa descrivere perfettamente questa catena di avvenimenti nei termini più plausibili della selezione naturale.

Freud reputava attendibile questa ipotesi grazie alla propria esperienza che gliene indicava l'esatta contropartita nella psiche infantile. In questa noi troviamo gli identici impulsi omicidi, il cannibalismo e l'incesto che Freud postula nell'uomo primitivo, e non richiede un eccessivo sforzo di immaginazione intuire che negli individui disinibiti sia facile il passaggio dal desiderio all'azione. Due secoli fa Diderot ha detto che se un bambino venisse abbandonato a se stesso e possedesse l'energia di un uomo, strangolerebbe il padre e dormirebbe con la madre! Inoltre nel mondo esiste tuttora il cannibalismo nonché l'usanza di uccidere e divorare il più anziano, per cui le teorie di Freud non sembrano poi tanto fantasiose.

Freud trovò nuovi argomenti in suo favore nel libro di Robertson Smith sul sacrificio. Le feste totemiche nelle quali, tra orge ed eccessi, si uccide e si mangia l'animale totem, costituiscono evidentemente una violazione dei normali tabù: esse sembrano cioè rappresentare una ripetizione cerimoniale dei crimini primitivi, così a lungo rimossi, ed avrebbero perciò un notevole significato sociale. Esistono ancor oggi molti residui di simili cerimonie: purtroppo non è toccato a Freud indicare la connessione tra tali riti e la teofagia della Santa Messa, rito centrale del cristianesimo.

Freud non esita a formulare la seguente conclusione: che «gli inizi della religione, della moralità, della vita sociale e dell'arte vanno ricercati nel complesso di Edipo», conclusione che l'umanità impiegherà molto tempo ad assimilare.

Secondo Freud la differenza essenziale tra lo sviluppo dell'uomo e quello degli animali inferiori sta nella vulnerabilità del neonato dell'uomo e nella sua lunga fase di immaturità. I pericoli ai quali esso è esposto nel mondo esterno durante questa fase lo rendono straordinariamente dipendente dai suoi tutori, soprattutto dalla madre; si vengono così a creare tra il primo e questi ultimi legami emotivi eccezionalmente intensi. A questa particolarità si connette senza dubbio quell'altra, curiosa ed unica tra gli animali, per cui la vita sessuale dell'uomo subisce uno sviluppo in due fasi anziché continuo, instaurandosi cioè dopo la nascita e poi di nuovo alla pubertà.

Freud non pubblicava mai una ricerca senza prima averla sottoposta a una rigorosissima autocritica. Posso citarne una che non riusci a passare tale censura: nel periodo in cui si sentiva tanto attratto dall'atteggiamento di Fe-renczi, incline alle congetture audaci o persino assurde, Freud si lasciò andare a una fantasticheria di ordine puramente speculativo, che dimostra il suo intenso desiderio di trovare una base storica alle varie fasi dello sviluppo umano e il suo interesse allo studio comparato delle diverse psiconevrosi. Citerò per esteso il passo, tratto da una lettera del 1915.

Nel preparare le conferenze per la prossima seduta sulle nevrosi transferenziali, mi sento turbato da fantasticherie che poco si addicono a una pubblica esposizione. Ascolti:

Esiste nei pazienti una serie cronologica di punti di partenza, e cioè:

Isterismo d'angoscia - isterismo di conversione - nevrosi ossessiva - demenza precoce - paranoia - melancolia - mania.

Le relative predisposizioni libidiche decorrono generalmente in direzioni opposte: e cioè, nei primi la fissazione avviene in stadi molto tardivi dello sviluppo, mentre negli ultimi essa avviene in stadi molto precoci. Tale affermazione non è comunque priva di inesattezze.

D'altra parte questa serie sembra ripetere da un punto di vista filogenetico un'origine storica. Quelle che oggi sono le nevrosi, erano un tempo fasi delle condizioni umane.

La comparsa di privazioni nel periodo glaciale rese l'uomo apprensivo: ebbe tutte le ragioni per trasformare la libido in angoscia.

Una volta appreso che la propagazione si opponeva all'autoconservazione e doveva perciò venir limitata, in tempi ancora pre-verbali l'uomo divenne isterico.

Dopo aver sviluppato la parola e l'intelligenza alla dura scuola del periodo glaciale, l'uomo formò le prime orde, sottoposte alle due restrizioni del padre primevo, in seguito alle quali il suo amore era condannato a rimanere egoistico e aggressivo. Come nelle nevrosi ossessive, la compulsione impediva ogni ritorno allo stato precedente. Le nevrosi che seguirono appartengono alla nuova epoca e furono trasmesse ai figli.

Tanto per cominciare, questi furono costretti ad abbandonare tutti gli oggetti sessuali, pena la castrazione e quindi la privazione di ogni libido: demenza precoce.

In seguito, costretti dal padre, impararono ad organizzarsi su una base omosessuale. La lotta contro tale eventualità significa la paranoia. Infine dominarono il padre realizzando una identificazione con lui; trionfarono su di lui e lo piansero: mania-melancolia.

In tutto questo è evidente la Sua priorità.

Ferenczi accolse entusiasticamente queste idee40 ma mancò di fornire a Freud le critiche dettagliate che questi gli aveva richiesto; e Freud saggiamente lasciò cadere l'intera sequenza di pensieri.

Freud aveva giustamente predetto che a Totem e tabù sarebbe toccata la stessa sorte dell 'Interpretazione dei sogni: per molti anni i suoi contributi all'antropologia vennero infatti sprezzantemente e spesso rabbiosamente ripudiati dalla maggior parte degli antropologi di tutti i paesi. Ricordo ad esempio che quando circa trent'anni fa lessi al Royal Anthropological lnstitute quello che reputavo un lavoro conciliativo e persuasivo: «Psicoanalisi e antropologia», suscitai violente proteste specialmente da parte di Edward Clodd che si oppose alla sua pubblicazione sugli atti ufficiali. Ne seguì una controversia tra me e A. M. Hocart, il noto antropologo.

Uno dei pochi e riluttanti riconoscimenti delle idee di Freud, lo troviamo in un contributo del prof. Wunderle a una pubblicazione commemorativa in onore di padre Schmidt, nel quale ammette che «entro limiti rigorosamente definiti, anche la psicoanalisi freudiana può esser d'aiuto all'etnologia, poiché disgraziatamente [sic!] la psicopatologia sessuale riveste un ruolo importante nelle popolazioni selvagge».

Interminabile sarebbe invece l'elenco di tutte le invettive riservate alle ipotesi antropologiche di Freud: Weinreich ha compilato in proposito una bibliografia. Basteranno uno o due esempi: Vetter definì la risposta di Freud al problema dei tabù dell'incesto «la congettura insensata che va sotto il nome di Totem e tabù, nella quale egli postula delle sciocchezze abbastanza intelligenti da indurre il lettore, per la loro palese meschinità e fantasiosità, a concluderle come una favola. Ma persino uno studentello credulone abituato ad accettare alla lettera i libri di testo e gli articoli di fondo del "The Times" rimane deluso da simili racconti». Secondo Radin «per un pensatore così acuto come Freud, Totem e tabù è veramente una cosa infame». Il famoso antropologo Edward Westermarck espresse ripetutamente la propria avversione per le dottrine di Freud, delle quali considerava soltanto le motivazioni coscienti. «Quale padre minaccerebbe mai di castrare il figlioletto perché questo abbraccia e bacia la madre?... Non v'è ragione di attribuire gli attriti tra padre e figlio a una gelosia sessuale», e così via.

Non v'è dubbio che questa condanna era diretta essenzialmente contro l'ipotesi freudiana del delitto primario nella situazione edipica. L'orrore suscitato da questa ipotesi, considerata mostruosa e improbabile, ebbe l'infelice risultato di fare ignorare quasi del tutto, per trenta o quarantanni, molti altri contributi di Freud all'antropologia sociale. Si ritenne che questo concetto del delitto primario avesse subito il colpo di grazia quando Kroeber, forse il più celebre etnologo americano, pubblicò un elenco di dieci obiezioni, le quali però non esprimevano che una generica incredulità. Vent'anni dopo Kroeber sostenne la stessa condanna aggiungendo:'«Il motivo per cui l'ipotesi freudiana avrebbe potuto dimostrarsi fertile già da molto tempo nel campo culturale invece di venire ripudiata o ignorata come una brillante fantasticheria, è che Freud ha proposto come storica una spiegazione di indole atemporale e psicologica.» Freud aveva infatti creduto che questi orribili misfatti avessero avuto realmente luogo. L'austriaco padre Schmidt, eterno avversario della psicoanalisi, nel corso di una riunione internazionale56 si lanciò in una violenta diatriba, e Goldenweiser spiegò che «le lacune e le esagerazioni del sistema freudiano son dovute in gran parte al fatto che esso non affonda le proprie radici in un'indagine sistematica e comprensiva della psiche», proposizione veramente originale. In seguito ammise controvoglia che «sembra difficile porre in dubbio che la psicoanalisi fornirà infine una spiegazione psicologica soddisfacente di questo "orrore dell'incesto"». In quasi tutti i circoli più strettamente antropologici, però, regnava un imbarazzato silenzio. Nella classica opera di Lowie, Freud viene citato un'unica volta, per di più su una questione molto marginale.5" Anche la critica contenuta nel recente e lodatissimo libro di Steiner sul Tabù non mi pare molto costruttiva, pur mantenendosi su un tono di maggiore rispetto che non molti altri lavori del genere.

Per lungo tempo l'unico antropologo che sostenne Freud fu Géza Ró-heim, il quale aveva il vantaggio di occuparsi sia di antropologia sperimentale che di psicoanalisi. In questi ultimi anni, soprattutto dopo la fine della seconda guerra mondiale, molti antropologi hanno ripreso in considerazione con occhio meno diffidente l'opera di Freud. Margaret Mead ha discusso estesamente i legami comuni tra antropologia sociale e la nuova psichiatria, che si fonda in gran parte sull'opera di Freud. Kluckhohn, uno dei maggiori antropologi americani, ha scritto poco tempo fa: «I fatti scoperti nel mio lavoro sperimentale e in quello dei miei collaboratori, mi hanno costretto a concludere che Freud e altri psicoanalisti hanno delineato con stupefacente esattezza molti temi centrali della vita motivazionale, temi che sono universali. I modi di espressione di questi temi e gran parte del loro contenuto manifesto sono culturalmente definiti, ma il dramma psicologico sottostante trascende ogni differenza culturale.» Recentemente, in una lettera personale ha scritto anche: «Sono convinto che la essenziale universalità del complesso di Edipo e della corrispondente rivalità sono ormai stabiliti dai dati antropologici.» Al di qua dell'Atlantico F. D. Klingender ha pubblicato un'importante appendice alla teoria freudiana del delitto primario: accettando in pieno lo svolgimento di Freud, Klingender suggerisce che esso può mettersi in rapporto, nel tempo, col mutare delle abitudini alimentari dell'uomo primitivo durante e dopo l'ultimo periodo glaciale. Sembra assai probabile che il passaggio da piccoli nuclei familiari a comunità più grandi, imposto forse da ragioni economiche, abbia rappresentato un punto cruciale nell'evoluzione dell'uomo.

Nel suo recentissimo e autorevolissimo studio dell'uomo primitivo, Carleton Coon nel capitolo intitolato Edipo va a scuola fa una narrazione della storia remota dell'uomo, che corrisponde esattamente a quella tracciata da Freud quasi un quarto di secolo prima, sebbene di quest'ultimo non citi neppure il nome. Carleton Coon discute in che modo l'originario «comportamento edipico» sia gradualmente passato, attraverso una fase omosessuale, alla colpa del complesso di Edipo.

V'è dunque ragione di pensare che il contributo recato da Freud all'antropologia non rimarrà più a lungo ignorato e condurrà a una fertile collaborazione tra ricercatori in campi che a prima vista sembrerebbero molto diversi.